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Immagine del redattorela cosa che abbiamo in comune

#1 La storia di M.

Ho sempre pensato che finché non mi metteva le mani addosso non era violenza.

L’ho sempre considerato, nonostante tutto, una persona buona perché non è mai arrivato al punto di alzare le mani su di me (per fortuna).


Mi sono serviti anni di distacco e di allontanamento, anni di confronti con le amiche per capire che la sua violenza era stata più subdola, più profonda e violenta: era stata violenza psicologica.


Da un normale fidanzamento il nostro rapporto si è trasformato presto in una relazione di completa sottomissione per me, e di totale dominio per lui.

Ogni scusa era buona per litigare e le motivazioni erano davvero banali:

un anello in più rispetto al solito,

una collana diversa,

una gonna un po’ più corta per sentirmi dire che io lo stavo sicuramente tradendo, che non potevo fare così, che lui mi avrebbe lasciato perché non poteva stare con una come me.


È arrivato a controllarmi il telefono, spiarmi chiamate e messaggi, spegnere indirettamente i miei rapporti con la maggior parte delle amiche. E poi le bugie: quante cazz**e mi ha detto, quante volte mi ha manipolato senza che me ne accorgessi…


Non stavo più bene con me stessa.

Sono arrivata al punto di rendermi conto che nella mia testa c’era lui che ragionava e non più io.

Eliminavo messaggi perché qualsiasi cosa poteva essere “compromettente” e poteva essere utilizzata come scusa per litigare, e io non volevo.

Sono giunta al punto di non mettermi più orecchini, anelli, al punto di non truccarmi più.

Non facevo più niente senza prima chiedere a lui, non mi organizzavo con le mie amiche se sapevo che dovevamo vederci noi.


Io, che sorrido sempre e sono così solare, non sorridevo più.

Ero sempre cupa, impaurita e terrorizzata all’idea che potessimo litigare, che potessi farlo arrabbiare e che per colpa mia si rovinasse tutto.


Questo è stato il mio sbaglio più grande e, allo stesso tempo, la colpa più importante che gli attribuisco: far ricadere tutto sulle mie spalle, facendomi credere che la colpa di tutto fosse sempre e sola mia.

Che ero io la responsabile se le cose andavano male perché ero io che mi ero messa un braccialetto diverso, io che avevo indossato quell’abito, sempre io che mi comportavo come secondo lui non dovevo comportarmi.


Mi porto addosso le cicatrici di questa relazione ancora oggi.

Parte della mia insicurezza e del pensare di non poter pretendere abbastanza da chi mi sta accanto è una cosa che mi trascino da quello che ho vissuto con lui.


Per fortuna sono riuscita a capire che la colpa non era mia, elaborando tutto quello che abbiamo vissuto.

Ne sono uscita, e vorrei potesse essere lo stesso per tutte le ragazze e le donne che vivono relazioni simili.

Io sono M. e questa è la mia #cosacheabbiamoincomune .

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